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*Il femminile nella spiritualità e nelle religioni

Nel tema che mi è stato assegnato da svolgere, si presentano tre termini: femminile, spiritualità, religione.

Mi sento dispensato dal definire il femminile, per due motivi:
a)- i relatori, che mi hanno preceduto ne hanno trattato ampiamente, sebbene forse, talvolta, identificando troppo frettolosamente il femminile con la donna.
b)- non riaffronto l’argomento, perché è difficile definire concettualmente il femminile, mentre è meno difficile l’intuirlo. Già intuire è azione corredata di femminilità.
Perciò mi limito a indicare ciò che io intendo per spiritualità e per religione, all’interno di questa mia conversazione, e così potrò in seguito connettere il femminile con la spiritualità e con la religione.

1°- SPIRITUALITÀ

Secondo me, la spiritualità è la facoltà (non il livello o il settore semplicemente) della persona, dove è vissuta più intensamente l’espressione della propria umanità, e dove si gioca l’autenticità dell’uomo e della donna.
Facoltà: facultas (vedi facilis) è capacità, possibilità, forza di compiere. Perciò non considero la spiritualità un settore al quale si accede talvolta, un contenitore, ma energia, sempre disponibile, diretta allo scopo di riconoscere, sentire e attivare, ciò che la persona vive come il proprio di se stessa.

Secondo me, in questo contesto, non riveste alcun interesse l’aristotelica divisione tra forma e materia (oppure forma ed evento), neppure spirito e corpo, soma e mente. La persona umana è una, pur utilizzando diverse recettività e operatività.
Parlando di persona umana o di individualità, ipotizzo che l’unica vera distinzione la troviamo solo tra essere vivente e cadavere.

La persona non è un composto, come tutti sanno, ma un’unica sostanza, che utilizza se stessa con variegate operazioni, secondo specifiche esigenze, là dove, nel comprendere nel sentire o nell’operare, a volta a volta si concentra l’energia vitale dell’organismo umano.
La spiritualità quindi potrebbe esser considerata come la concentrazione più intensa di intuizione, di sensibilità e di operatività.

Questa concentrazione risponde a stimoli, o propriocettivi o eterocettivi, tra i quali il cosiddetto mondo dei valori può risultare lo stimolo più marcato. Il mondo dei valori, perciò, è il nucleo più appropriato, dove si esalta la spiritualità.
Per valore non intendo un mondo astratto, quasi un iperuranio, fuori della persona. Esso è depositato dinamicamente nella persona, per l’azione continua dell’energia, sia personale, che ambientale, ossia dell’unica energia.

La presenza dell’energia richiama la presenza dello Spirito. A richiamare, forse a raggiungere la soglia che confina le due parti e che unisce l’energia con lo Spirito, ci aiuta la scoperta quantistica, per la quale la realtà è costituita da un principio energetico, immateriale. Mi ha sempre colpito il nome adoperato per indicare i quanti, i ”fotoni”, luce. S. Bonaventura ragiona sulla forza primordiale, persistente poi in tutta la realtà, e la indica come “luce”. Secoli prima di Bonaventura, la Bibbia inizia la descrizione del riordino del cosmo con il primo comando di Dio: “Sia luce!”. Un comando che precede l’altro: “Vi siano lampade nel firmamento”. Quindi si tratta di una luce non prodotta dagli astri. Lo stesso termine “Dio”, divum, richiama il sanscrito “Div”, cioè luce, splendore.

Alla fonte del cosmo, non si pone la materia, ma la pura energia, cioè il pensiero, lo spirito. La spiritualità quindi è la tendenza a rifluire nell’unità energetica primordiale. Energia presente nel big-bang iniziale, permanente nell’immaterialità dei fotoni.
Da questa unità parte – e ancora devono esser scoperti il come e il perchè – la differenziazione o il principio di divisione. La spiritualità dunque tende continuamente a superare la separazione in un movimento verso l’unità dell’energia basilare di ogni realtà e di tutta la realtà.

Il presente umile sguardo sulla spiritualità ha assunto solo la tinta filosofica e psicologica. Lo stesso argomento ho anche trattato sotto l’aspetto biblico-teologico, che si trova pubblicato nel sito della SPERI, sia in www.sanlorenzo.vi.it sia in “www.sanlorenzosperi.altervista.org” , dove si può trovare cercando la parola “spiritualità”. Inoltre tre conversazioni sulla spiritualità sono in calendario SPERI nel ciclo dell’anno 2007-2008.

2° RELIGIONE
L’altra premessa che ritengo necessaria allo svolgimento del compito che mi è stato affidato, è che cosa io intenda per religione.
In ogni cultura, o etnologica o storica, troviamo un rapporto con il divum. Esso può essere inteso come demoniaco, come immanente, o come divino.
È inutile ricordare analiticamente, ciò che, sotto molte variazioni, si riferisce comunque allo stesso tema, tema che in sé rimane indefinito, sebbene possa esser celato sotto molti nomi: Brama, Tao, Grande Padre o Grande Madre, Jahveh, Giove, Odino, ecc.

Questo divum da nessuna cultura è incontrato sperimentalmente. Esso è sempre dato per scontato da intuizioni, nessuna delle quali è in presa diretta con l’oggetto intuito.
Eppure attorno ad esso gli uomini costruiscono quantità incalcolabile di descrizioni, o opposizioni, fino a creare mitologie, più o meno fantasiose, per catturare di esso almeno qualche frammento di immagine.

Nascono così grandi e spesso commoventi mitologie (parlo dei miti primitivi, non di quelle talvolta farse di miti, che sono raccolte nelle mitologie più recenti, come quella tarda greco-romana, non raramente composta da scettici o da atei), e comportamenti etici, esigiti e vendicati dalle divinità intuite.
Evidentemente le intuizioni e i tentativi di descrizione del divum, risentono enormemente dei singoli ambienti culturali, sempre dettati dalle autorità sia spontanee che imposte.
Le intuizioni primordiali del divum mitico, diventano tradizioni e sono elaborate da “teologie”. Ogni teologia, primitiva o elaborata, è necessariamente creazione umana, sebbene non senza un influsso dello Spirito Santo.

3° FEMMINILE E SPIRITUALITÀ
In quale posizione e con quale rapporto si pone il femminile con la spiritualità e con la religione?
Tento di compiere due riflessioni, molto riduttive del vastissimo fenomeno.
Se parliamo del femminile, ci troviamo in una situazione parziale, che si differenzia almeno dal maschile. La spiritualità invece è unità, mentre il femminile è parzialità. Esiste una possibilità di relazione seria tra i due poli?
Se consideriamo la relazione in senso statico e definito, è difficile trovare relazione vitale. Se la nostra ricerca si fa dinamica, allora, io, modestamente, proporrei di analizzare la loro relazione, almeno sotto due correnti: dalla spiritualità al femminile, dal femminile alla spiritualità.

a)- Dalla spiritualità al femminile, ossia dall’uno al differenziato.
La fisica subnucleare, il sistema quantistico, ci può illuminare. Infatti all’inizio del cosmo, si ipotizza seriamente che esistesse soltanto l’energia. Poi l’energia si differenzia in infiniti modi ed esseri. Perché e come? - Una risposta non è ancora possibile. Certo è che l’evoluzione segue una certa esemplarità (per usare un termine bonaventuriano) che è impressa nell’intimo dell’energia stessa. L’esemplarità, pur mantenendo negli esseri la propulsione energetica, permette di riconoscere la differenza, per esempio, tra la pietra e la pecora.
Dall’uno al differenziato, che però non è semplicemente l’uno, eppure il differenziato non esiste senza l’uno, ne dipende e ne esplica una delle innumerevoli potenzialità. - Anche il femminile perciò ha una reale connessione dinamica con la energia dell’uno, che è energia spirituale.

b)- Dal femminile alla spiritualità.
Il femminile, per realizzarsi, deve relazionarsi all’uno spirituale, verso cui è sempre in tendenza. Proprio la tensione verso l’uno, rivela al femminile la propria finitezza e incompletezza, la quale però, essendo interna all’energia cosmica, è dinamicamente portata sia al congiungimento con le altre differenziazioni, sia al rifluire nell’uno, spirituale.
Scientificamente e metafisicamente, questa è la realtà, che poi necessariamente si realizza materiandosi psichicamente e fisicamente.

4°- FEMMINILE E RELIGIONE
Una delle molte concertazioni di questo doppio passaggio dallo spirituale al differenziato e reciprocamente, è attuato nel settore religioso. Il femminile, soprattutto nel suo aspetto psichico, è componente necessaria dei rapporti vissuti nel settore religioso.
Il religioso possiede due volti fondamentali: quello personale (o religiosità), e quello sociale (o religione).

a)- Il religioso (la religiosità) è forgiato soprattutto per la relazione e la percezione del divum, o del numen. Tale percezione è alimentata non dal ragionamento, ma dall’intuizione. Percepire cioè in modo impreciso, eppure deciso e reale, l’esistenza della persona umana, fragile, che patisce l’urgenza di un riferimento rassicurante, e sicuro pienamente in se stesso.
Il femminile in tale atteggiamento è più che ovvio. Che si intenda il divum come immanente nelle creature, o trascendente ad esse, esso viene comunque articolato in forme non riconducibili a una sola. Ogni percezione di tale realtà, in se stessa è vera. L’atteggiamento davanti ad esso può mostrarsi in una gamma che va dal timore all’amore, e, in questo, al completo abbandono, a un lasciarsi perdere in un sentimento oceanico, che sfocia nell’estasi.
I casi di estasi, nelle molte forme di religione, sono indicati soprattutto come prerogativa di donne. Anche la devozione è coltivata più intensamente dalle donne. Gli uomini, trasportati nelle estasi, trascurano la loro pretesa di ragionare sul divum, per perdersi nel sentimento oceanico. Maschi e femmine per abbandonarsi all’estasi, che è la modalità più intensa della religiosità, devono sviluppare tutta la potenzialità del femminile esistente dentro di loro per poter abbandonarsi totalmente all’azione di Dio. Va notato che Freud, succubo di una scienza pervasa dal positivismo razionalista (l’es deve emergere nell’ego), criticava il sentimento oceanico del religioso, che invece è una ricchezza della specie umana.

La stessa religiosità è alimentata, nel contesto bilaterale della mente e del cervello, dalle energie di quel lato dal quale sono stimolate la poesia, l’arte, l’intuizione. Privare la religiosità della forza intuizionale ed emotiva, riduce la religiosità a un freddo, e spesso inutile, cumulo di idee e di riti, incapaci di elevarsi alla gioia di un dialogo, al godimento di elevazione. Purtroppo i maschi, e le donne mascolinizzate, per gustare la bellezza dell’esperienza religiosa, sono svantaggiati, e per ritornare all’immediatezza dell’esperienza religiosa libera, già vissuta nell’infanzia, abbisognano di un tragitto ascetico preliminare.

Nella religiosità le persone tuffano il proprio mondo di valori. Il mondo di valori è necessariamente attraversato da una religiosità, o esplicita o latente. - Nel novero dei valori, troviamo l’asceta che persegue l’interiorità, il ladro che colloca il proprio valore nel rubare con arte, il guerriero per cui l’uccidere diventa un fatto religioso (vedi il Bhagavadgita, o il terrorista), il santo che trova il valore nell’amare Dio e il prossimo, e nell’esserne riamato.

b)- La religiosità si incorpora nella realtà sociale e culturale della religione. La religione tenta sempre di definire il riferimento al divum, attraverso i miti. Nei miti è presente sempre l’elemento femminile, o come divinità principale o come divinità secondaria, secondo le esigenze del singolo politeismo o della singola cultura.
Soltanto le religioni monoteistiche e alcune enoteistiche, descrivono il dio al maschile. Naturalmente il moltiplicarsi degli dei include sempre divinità femminili.
Non mi inoltro nel grande e difficile tema del matriarcato, soprattutto nel cosiddetto matriarcato primitivo, quello che avrebbe preceduto il patriarcato. Però si possono trovare connessioni tra il matriarcato e l’essere supremo femmina.

Tutti noi abbiamo udito nominare la “grande madre”. Sarebbe interessante, per la provincia di Vicenza, riandare al ricordo del culto della dea “Reitia”, o, in Grecia il ricordo di Rhea, madre di Giove. Anche Iside, in Egitto, si proclama madre di tutta la terra.
Nella cultura religiosa degli amerindi, la prevalenza della dea principale su tutto il mondo politeistico, è simbolo di una vasta cultura del matriarcato tra gli dei.
La connessione, non causale, tra i culti ctonici e i culti della fertilità, con importanti presenze di dee, non è campata in aria. Le statuette steatopigiche sono testimonianza in questo senso.
Comunque nel politeismo la presenza delle dee è costante, soprattutto a difesa della sessualità e della fertilità. Le dee, nelle diverse culture, si ritrovano come dea ctonia, dei morti, dei serpenti, della fecondità,della fertilità, dea-occhio, dea del sole (Giappone), dea solare. - L’origine, quasi sempre, ctonica delle dee, non necessariamente inquadra le dee in una funzione benigna, ma non raramente vede nelle dee e nei miti delle varie amazzoni, forze distruttive (dea Kalì, le Erinni, ecc.). - Anche nelle mitologia non sempre la donna si sposa con il femminile, forse a causa di una lettura posteriore della presenza di dee nell’Olimpo.

5° RIVELAZIONE E SPIRITUALITÀ
Finora nel campo religioso, abbiamo ricordato ciò che gli uomini hanno creato, sia nella religiosità, sia nella religione (timor fecit deos!).
La domanda seguente è semplice: quel divum, quel numinosum, che s’infiltra nelle religioni, ha un volto davvero? Esiste? Si presenta? Se ci sei, mostrati, svelati! - In altre parole: il divum si è palesato con la propria faccia, e non con la maschera intessuta dai miti?
Nella storia, si parla, in molte culture, di svelamento del numinosum. Quindi ci inoltriamo nella regione della rivelazione. Tra le molte presunte o reali rivelazioni, io restringo la mia ricerca alla rivelazione cristiana, per scoprire in essa il sapore del femminile.

Prima di Gesù, si muoveva il profetismo ebraico. Pro-femì: parlare in nome e per incarico di Dio. In quel periodo l’autenticità del profeta, era fissata da un criterio: “Se il profeta che profetizza pace, quando si avvera la sua parola, allora è riconosciuto quale profeta che il Signore ha davvero inviato” (Ger 28,9). I profeti di allora possono esser avvicinati, in qualche modo, ai teologi di oggi: non sempre erano in armonia con Dio. Perciò Geremia li redarguisce a lungo.
Gesù è profeta, con una connotazione in più. Non parla solamente per incarico di Dio, ma è lui stesso la Parola di Dio, quella parola che altri profeti annunciavano. - L’autenticazione della sua Parola è di tipo assoluto: “Dio nessuno l’ha mai visto; il Figlio di Dio, che sta dentro il Padre, lo ha narrato”. Lui quindi autentica se stesso, attraverso la realizzazione di ogni sua parola, inclusa quella preveggente e sbalorditiva della propria risurrezione. Nella risurrezione prelude chiaramente la nostra risurrezione.
Or dunque, quali alcuni segni cristiani del femminile nella rivelazione, anzi, decisamente, nel rivelatore?

a)- L’inizio.
A una ragazza è affidato il compito di introdurre il Verbo tra gli uomini. Se spiritualità è unità, Maria è il luogo dell’unità più profonda.
Già tra le persone umane, l’unità uomo-donna e talvolta la loro fusione, si inizia con l’accoglienza che la donna offre all’uomo. Maria la sua accoglienza la offre a Dio, e così si inizia l’unità più impensata: l’unione Dio-Uomo nello stesso Gesù.
La donna apre la porta a Dio, e della sola donna Gesù, creatura, biologicamente eredita molti tratti. Egli è “uomo nato da donna” (scrive Paolo di Tarso nell’unico riferimento che egli compie riguardo a Maria).
L’inizio della rivelazione è al femminile, quel femminile che si irradia anche sul maschio più vicino all’evento: Giuseppe. Infatti lui “accoglie” Maria (il testo greco: “prese la moglie di lui”). Maria “accoglie”, da donna, il Verbo, e Giuseppe accoglie Maria.
Davanti a Dio che, prendendo sempre l’iniziativa dalla creazione in poi, e venendo, si mostra, l’unico atteggiamento umano è l’accoglienza.

b)- I sentimenti di Gesù.
Gesù è la rivelazione di Dio, è l’inizio del “suo regno”. Egli inizia una chiesa declinata con il femminile e con il maschile, che conduce all’implementazione uomo-donna.
Gesù conosce tutta la gamma dei sentimenti: piange, s’adira, rampogna, fugge, ha coraggio nell’affrontare nemici e morte, è dolce con i bambini, difende la donna, vive l’amicizia, ecc. Quale differenza dall’eroe greco!
È un uomo che semplicemente vive se stesso, nella dimensione umana prima, e nella dotazione sovrumana poi. Egli si congiunge alla Chiesa: ne è il primo anello e utilizza le qualità maschili e femminili per farla protendere dinamicamente verso l’uno finale, dove tutto sarà “consegnato” al Padre.
Gesù si commuove per le difficoltà umane: piange presso il sepolcro di Lazzaro; si commuove nel vedere la povera gente come fosse un gregge senza pastore; presso Naim fa arrestare un funerale e restituisce vivo il figlio a sua madre vedova; si intenerisce quando teme che i suoi ascoltatori possano svenire per la fame e compie il miracolo della moltiplicazione dei pani; al nanerottolo Zaccheo, che s’arrampica su un albero per vedere Gesù, questi stesso si offre di recarsi a casa dell’uomo; perfino impiccato sulla croce, si commuove per il ladro consorte alla sua condanna, e lo trascina con sé in Paradiso.

Gesù sa sintonizzarsi con il sentire delle donne. Parla delle sofferenze del parto. Giuda critica la donna che effonde su Gesù un unguento prezioso, Gesù difende la donna per l’affetto che prova. Marta rimprovera Maria la fannullona, che assorbe la parola di Gesù, e lui difende Maria, che sta godendo “oziosa” la parte più bella. La Maddalena piange sconsolata davanti alla tomba di Gesù, e Gesù le si fa presente per rincuorarla.
L’agire di Gesù nasce dalla tenerezza. Il miracolo è traduzione tattile della misericordia di Dio. Non solo i morti, ma pure lo sciancato, l’epilettico, il lebbroso muovono Gesù. E se accade un miracolo, grazie alla presenza energetica di Gesù, ma senza che la parte raziocinante di lui se ne accorga, questo accade grazie all’ardire di una donna, colpita da metrorragia.

c)- L’insegnamento.
L’insegnamento di Gesù è comprensione per i deboli, verso i quali si inalvea la sua tenerezza.
L’inizio dell’insegnamento di Gesù, come lo coordina l’evangelista Matteo, è un incoraggiamento per i deboli. Le beatitudini.
Poveri, sconfitti, sofferenti, calpestati ingiustamente, perseguitati, sono sostenuti, anzi elevati a figli di Dio, proprio a causa dello loro disgrazie.
E che cos’è il continuo invitare alla misericordia, se non a far affiorare dal proprio cuore la tenerezza, quella stessa che guida il buon samaritano?
La tenerezza di Dio è adombrata icasticamente nel comportamento del padre, che riaccoglie (ancora accoglienza!) il figlio traviato.

Nel Vangelo è ricordata un’esplosione di gioia di Gesù, quando egli si trova sintonizzato con i piccoli, i quali si lasciano trascinare dal suo insegnamento. Gesù aveva avuto un impeto affettuoso di commozione verso un ricco: il testo dice “lo amò” (agapesen). Ma il ricco non ascolta. I piccoli invece lo ascoltano, e Gesù esce nell’esclamazione: “Padre, ti ringrazio perché riveli queste cose ai piccoli e ai non istruiti, e le nascondi ai grandi, ai sapientoni!”.

Non vorrei che la sottolineatura, che serve al nostro assunto di enucleare la tenerezza e il femminile nell’iniziatore della nostra esperienza di cristiani, ci attraesse verso una certa figura, un po’ melensa, di Gesù, cara a qualche filone del romanticismo. Una cosa resta certa, comunque, che il mondo non ha accettato questa parte soave di Gesù, ed ecco come il mondo va.
In Gesù c’è la completezza umana, poiché egli sa scacciare violentemente il satana, che si traveste nei panni dei farisei, nella perfidia di Erode, nella violenza dei Romani. Quando occorre, Gesù è polemico, rovescia i banchi dei mercanti, rimprovera i miracolati sconoscenti, rimbecca aspramente Pietro, rimprovera l’ambizione degli Apostoli. Lui davvero “ha vinto il mondo”. I grandi, che fanno la nostra storia ciecamente esaltata nei testi che subiamo a scuola, sono morti. La storia è una continua epigrafe mortuaria dei propri personaggi. Gesù invece resta, ma non resta morto: è tra di noi risorto: questa è la icastica vittoria di Gesù sul mondo superbamente esaltato e pieno di morti.

Dolcezza e forza sono naturali in Gesù, non come opposizioni, ma come aiuti alla sua opera. Gesù è persona unitaria.
L’ultima grande preghiera di Gesù, che il Vangelo di Giovanni riporta, è intrisa di unità, seguiamola, perché, se la spiritualità è “reductio ad unum”, qui l’uno più robusto si materia mirabilmente.
“Padre, glorifica me, perché così io glorifico te.. Ho manifestato agli uomini, chi sei tu davvero … Essi ormai sanno che quanto è in me viene da te … Io vengo presso di te, e proteggi costoro che restano ancora nel mondo … Io prego per questi e per quelli che crederanno in me, perché essi siano uno, proprio come tu, Padre, in me e io in te. … Che essi siano consumati nell’unità”.
Sappiamo che l’unità in Dio è favorita dallo Spirito Santo. Ora l’uno in Dio, coincide con il differenziato: uno e tre persone. La Trinità.
Nel periodo patristico, circolava l’idea che i diaconi erano figura di Gesù, e le diaconesse quella dello Spirito Santo.
Dall’unità primordiale si srotola la differenziazione. - Nell’unità finale in Dio, la distinzione della tre persone, formano l’unità di Dio, uni-trino. Le tre persone si incentrano nella sublime circolarità di una danza eterna (pericoresi). A cogliere questa in piccola parte, aiuta solo l’intuizione estatica.

Non s’offenderà R. Benigni, se anch’io termino, passando le penne a Dante, che così termina la Divina Commedia.

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder volea come si convenne
l’imago al cerchio, e come vi s’indova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgea il mio disio e i’ velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.

Giuseppe Celso Mattellini   26.05.08