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Socialità dell'Eucaristia

Qualcuno “fa la comunione”, ossia riceve l’Eucaristia, per devozione, per crescita spirituale, per voto, per un bisogno di pace. Eppure l’Eucaristia non è creata a uso privato, e la messa non si celebra per preparare il pane consacrato per la comunione del singolo.

Devozione, crescita spirituale, voto, possono essere effetti dell’Eucaristia, ma non ne sono lo scopo. L’Eucaristia è l’unione di Gesù con la sua chiesa, pur realizzata nei singoli, ma non esaurita nell’individuo.

L’Eucaristia nasce come fatto sociale. Gesù Risorto è con noi, perché noi completiamo il suo corpo, essendone membra connesse tra loro. L’Eucaristia è in funzione di questa connessione.

Paolo rimproverava i Corinzi, che non rispettavano il prossimo, quando facevano la cena del Signore. Non rispettando il prossimo, commettevano un’offesa al “Corpo del Signore”.

Ogni volta che accogliamo la comunione ci leghiamo a tutti i credenti, anche agli antipatici, e a quelli che ci causano sofferenza. Quante volte, perfino senza accorgerci, nella comunione abbiamo ricongiunto legami spezzati o allentati.

Il devozionismo rischia di farci dimenticare il profondo valore sociale dell’Eucaristia, per declassare l’Eucaristia a uno strumento da usare per le nostre devozioni. Per alcuni devoti, accendere un cero a S. Gennaro è pari - se non persino superiore - all’accostarsi all’Eucarestia.

Anche quando, per motivi di salute o per altre necessità, ci si accosta alla comunione da soli (in privato, purtroppo si dice), si compie sempre un atto di perfetta caratura sociale, nel corpo di Gesù Cristo.

GCM 30.08.05