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Unità umana

Francesco d’Assisi era un uomo unitario, nel quale la psicosomatica era evidente. Psicosomatica intesa non come giustapposizione di due, ma come unità semplice, che noi tranquillamente diciamo uomo, donna, bambino, anziano.

L’unità lui stesso, nel suo testamento, l’esprime. Egli infatti afferma che, dopo la conversione, aveva acquistato dimestichezza e consuetudine con se stesso e con gli altri, anche con i lebbrosi, e ciò gli procurava dolcezza nell’anima e nel corpo. Anima e corpo era il modo usato allora per indicare la realtà dell’uomo.

Questa sua affermazione mi aiuta a intuire un po’ il fenomeno                delle stimmate. La immersione di Francesco nel Gesù sofferente non era esercizio intellettivo. Era una totale entrata nel mistero, ossia nella realtà di Gesù. Il Serafino, di cui parlano S. Bonaventura e altri, era una presenza esterna forse, ma sicuramente uno sprigionare della sua passione nella stessa visibilità fisica.

L’intensità di passione non trascinava il corpo, ma viveva nel corpo. Il mistico non è un sognatore, ma un poeta della realtà. L’intensità della passione era un fatto fisico, perché mentale.

Sotto questo aspetto le estasi di S. Paolo, erano “nel corpo o fuori del corpo non so”. Paolo parla di sé, dopo una esperienza totale.

E pure sotto questo aspetto unitario della persona, mi sembra naturale vedere i voli di Giuseppe da Copertino. Essi non sono favola, non soltanto perché documentabili (viveva nel ‘600, il secolo della scienza sperimentale), ma anche necessari per chi viveva nella passione di quel Gesù, che nel Getsemani sudò sangue.

07.04.14