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Vicini e prossimi

Non nascondere lo scriba pretenzioso e becero che è in noi.

Uno scriba pone sotto interrogatorio Gesù, per metterlo alla prova.

Mettere alla prova, in greco, è lo stesso verbo adoperato per descrivere le tentazioni di satana nel deserto, durante i quaranta giorni di ritiro scelti da Gesù (lo spirito lo spinse nel deserto).

Lo scriba era un esperto in teologia, laureato alla scuola di qualche “rabbi”. Lo scriba è, quindi, sicuro della propria conoscenza di teologia.

Scribi siamo tutti noi, da chi ha studiato anni la teologia a chi conosce sì e no qualche domandina di catechismo.

Siamo scribi, non per la quantità di quanto sappiamo, ma per la pretesa e la presunzione  di saperne abbastanza, tanto da opporre le nostre domande a Dio, o perfino di dichiarare che Dio non vede o che Dio sbaglia.

La pretensione è inversamente proporzionale alla quantità di istruzione religiosa. La pretensione si annida nella nostra presunzione di saperne abbastanza per opporsi a Dio, o per presentare le nostre intelligentissime obiezioni.

Lo scriba del vangelo interroga Gesù: “ Sai che cosa serve per il guadagno della vita eterna?”.

Gesù di rimando: “Lo sai tu. Che cosa dice la tua conoscenza teologica?”.

Da interrogante a interrogato: fino a che punto arriva la tua teologia? Ed ecco ancora una schivata dello scriba: “E chi è il mio prossimo?”. 

E’ domanda “per giustificarsi” per difendere la propria convinzione.

Gesù racconta la parabola  del buon samaritano. Prete e sacrestano passano vicino al disgraziato e proseguono; lo straniero si commuove e aiuta.

Ecco da “vicino” quel disgraziato diventa “prossimo”.

Sì, noi scribi dobbiamo trasformare i molti nostri vicini (di casa, di città, di nazione), in veri prossimi.

14 luglio 2013