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Guerra e preghiera


    L’ISIS non ha fatto bene i conti, quando si è posto contro altri musulmani, per i quali la vendetta è un costume, quasi un obbligo sacrosanto.
    Ha pestato i piedi anche alla Giordania, e questa ha reagito pesantemente. Poteva scherzare crudelmente con i cristiani di Siria e dell’Iraq, il Vaticano non arma truppe! Ma contro gli Stati arabi, e contro i Curdi, l’ISIS ha trovato pane per i suoi denti.

    Chi ha un po’ di sentimento, è stato indignato contro le decapitazioni, le crocifissioni, il rogo. Il cristiano, indifeso, si aggrappa alla preghiera e alla certezza della risurrezione. Ma gli stati, che si sentono minacciati oggi si alleano.

    Ebbene il cristiano prega. Non è facile pregare, dopo l’indignazione, eppure la preghiera può infilarsi dentro la stessa indignazione.

    Pregare perché e come?

    Ricordo che durante l’ultima guerra mondiale, ci raccomandavano di pregare, prima per la fine della guerra stessa, e poi per la “vittoria dei nostri”. Quale vittoria? A posteriori è difficile non costatare, ma allora, spaventati dalle continue incursioni aeree giornaliere, i sentimenti non erano troppo favorevoli verso i bombardieri.

    Pregare per la fine dei conflitti: è un semplice dovere. Pregare per la resistenza psichica delle persone ingiustamente sofferenti è più di un dovere, è partecipazione cordiale e penosa. E pregare per coloro che fanno soffrire tante persone? Questo è superare i confini del decente, se non ci fosse stato uno che chiedeva perdono a Dio, per quelli che lo torturavano. Non solo sopportare, ma superare la sopportazione nella preghiera, affidandosi a Dio.

    09.02.14