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Formule svianti

Se dalle formule di preghiera si togliesse un qualche barocchismo, il pregare, ossia il colloquio con nostro Padre, sarebbe più spontaneo.

Per esempio, mi riferisco alla preghiera che anche oggi si insegna ai nostri bambini: l’Angelo di Dio.

Tralascio il fatto che spesso si insiste più sull’Angelo di Dio che sul Padre Nostro. Una preghiera al servo piuttosto che la preghiera al... padrone.

La finale della preghiera è semplicemente sciocca: la “pietà celeste”. Qualcuno addirittura potrebbe riferire quel “celeste” al partito che si identifica con quel colore, cioè a Berlusconi... Questa è una delle colpe a lui non ascrivibili.

Quella “pietà” oggi la si intende come misericordia, secondo il significato corrente. Però la preghiera base è latina, e la traduzione italiana è fatta a spanne e a orecchio (come altre traduzioni, non pochissime, imposte dai liturgisti, non sempre anche esperti latinisti...).

Il significato di “pietas coelestis” pur nel suo barocchismo, è “amore di Dio”. Infatti la “pietas” è l’amore che circola tra le persone di una stessa famiglia. La Pietas del Padre è amore del Padre verso i suoi figli. Non un padre qualsiasi, ma “quel” Padre che è Dio. Dio è Amore.

Forse la noncuranza con cui si recitano le preghiere, soprattutto quelle ripetitive come il Rosario, fa perdere il sapore della preghiera stessa.
Ieri sera io mi sono trovato elevato al rango della Madre di Dio. Difatti una persona che recitava il Rosario, vedendomi passare si incuriosì, e fissandomi attentamente, continuava a recitare: “Ave Maria...ecc  “. All’inizio mi sono sentito promosso. Poi mi sono ricreduto.

GCM 25.10.12