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Ave o allegria?


Chi ascolta Gesù, sa con chiarezza come deve essere la propria preghiera. Lo schema essenziale è quello del Padre Nostro. Parlo di schema, non di formula, perché la stessa formula cambia già nei Vangeli di Luca e di Matteo.

Lo schema è chiaro: la prima parte è riconoscere Dio con la sua grandezza, la seconda l’uomo con le sue necessità. E’ il “conoscere te e conoscere me” di S. Agostino. Il pregare del Cristiano è dialogico, a differenza del pregare, per esempio, del buddhista, che è interiorizzato su chi sta pregando.

Preghiera come dialogo di lode (“sia fatta la tua volontà, si realizzi il tuo regno”) e di richiesta (il pane, il perdono, la difesa dal male). Questa è l’ossatura del nostro pregare cristiano.

L’Ave Maria è forse la più ripetuta delle preghiere cristiane. E’ preghiera dolce, rasserenante. Ricordo quell’ammalato grave, che trovava sollievo solamente quando recitava l’Ave Maria. Anche nell’Ave Maria la prima parte è laudativa, la seconda è implorante.

Mi sembra tuttavia che la prima parte abbia perduto lo slancio iniziale, quando le parole sono state trasformate in mera invocazione.  Sembra che si sia perso lo slancio di Gabriele, nel suo invitare Maria all’allegrezza, e il canto di Elisabetta nell’incontrare Maria! Lo slancio di quel “rallegrati Maria” detto con tanta foga da spaventare la ragazza Maria!

La prima parte è inno, nel quale fa gioiosa presenza Dio: “Il Signore è con te!” – L’esplosione dell’angelo, “Rallegrati!” e l’entusiasmo di Elisabetta, sembra si dileguino in un “Ave” (detto anche dai condannati del circo…) scialbo, soprattutto se cantato a scipita cantilena.

GCM 11.08.14