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Pregare è vivere

Purtroppo constato che chi non sa pregare, non da vivere.
Certamente il non saper pregare, non coincide con il non dire le preghiere.
Pregare credo sia, prima di tutto, essere certi che noi siamo in perenne, soave, contatto con il Padre. Il pregare è come un ricordarci delle vere coordinate della nostra vita. Siamo in Dio, veniamo da Lui, camminiamo, minuto per minuto verso di Lui, per riposare in Lui per sempre, in una felicità impensabile.
Gesù, in procinto della sua straziane morte, affermava di andare dal Padre: “Vengo da te!”.
La preghiera ci salva dal sentirci isolati nel mondo. Possiamo anche trovarci soli, ma non siamo isolati: non da Gesù né dal Padre (né da tutto l’universo paradisiaco!), né dagli altri, che con noi dividono il vivere, e, spesso, il convivere nella certezza della presenza e dell’amore del Padre.
Pregare è l’abbracciare l’universo, in una profondità, che nessun telescopio riesce a raggiungere.
Guardo il sole o i gerani del mio pergolo, e questo è anche pregare, se il mio cuore è unito al Padre. Io sono tuffato nell’universo di Dio, e tutto attorno a me, prega con me!
Per non pregare, devo volutamente staccarmi dalla preghiera. E questo stimola la mia felicità, nell’operare e nel pensare, nel pensare e nel sentire.
Il Padre, facendomi suo figlio, mi ha costituito preghiera, ossia il “rivolgermi a Lui”, perché Lui è rivolto continuamente, a me e a tutti, per l’amore alle sue creature. “E vide che era cosa buona”!
21.05.20