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Il cibo della speranza   

S. Paolo ci ricorda la nostra destinazione, sancita dall’eternità: essere figli di Dio dal concepimento e fino a mai! Da sempre nel cuore del Padre, per sempre alla sua presenza, al suo amore. Ce lo conferma Gesù.

Siamo nell’inconcepibile, ma non nell’irreale! Siamo, appunto nel mistero. È mistero la risurrezione di Gesù, ed è rivelata dalla storia. La risurrezione non è inconcepibile, sebbene non sia spiegabile. È avvenuta e basta.

Eppure la Risurrezione di Gesù ci riguarda, perché riguarda la nostra speranza, e, in essa, la nostra felicità autentica, che non patisce contraffazione o giochi di prestigio. Con essa non possiamo esimerci da “fare i conti”.

Se mi esimo dalla Risurrezione di Gesù, mi sottraggo alla mia speranza, quella che genera la dinamica della mia vita.

Quando, anche solo mentalmente, immagino una vita senza risurrezione, mi sento come precipitare nel vuoto cosmico, perso tra gli elementi, fluttuante verso non so che cosa. La speranza mi induce a guardare avanti, a sentire che sto arrivando, mentre scivolo lungo le ore della mia giornata. La speranza è una risposta incipiente del mio perché nell’esistenza.

Gli unici autentici benefattori degli uomini e delle donne, sono coloro che attizzano la speranza. Coloro che non illudono, indicando mete precarie: fama, denaro, piacere. Mete che nascono morte, precarie, povere. Mentre la speranza è “contro” la povertà che si chiude in se stessa, per mantenere l’uomo sempre aperto alla “redenzione”.

19.10.16