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Affetto e apostolato 

La lettera che Paolo invia a Timoteo, rivela l’affetto che teneva uniti tra di loro e con Paolo, i collaboratori nello stesso apostolato sorretto dallo Spirito Santo. Oggi nell’organizzazione clericale questo lato è totalmente sconosciuto. Il Papa sì parla dell’odore delle pecore, che si appiccica al pastore, il quale deve avere una familiarità con il gregge. Oggi il prete o il frate sono funzionari, pedine di un gioco di scacchi, pedine che sono spostate disinvoltamente da un luogo all’altro, se lo scacchista (vescovo, superiore religioso) decide. Questo quasi sempre, senza tener presente la dimensione affettiva delle persone.

La dimensione affettiva vista sia nella persona direttamente interessata, sia nel suo rapporto con l’ambiente umano che l’attornia. Si sta delineando forse una chiesa senza amore.

Anche nei brevi viaggi di apostolato, Gesù – a quanto ci riferisce l’evangelista Marco – indicava di restare fermi nella casa, che esercitava l’accoglienza. La continuità di rapporto sollecita una relazione affettiva; l’affetto vissuto moltiplica la voglia di lavorare anche nell’apostolato e diventa coefficiente dell’efficacia della parola, perché dove c’è amore, ivi opera “più libero” lo Spirito Santo.

È vero che l’Occidente è malato di freddezza affettiva: basta ricordare le leggi che favoriscono i divorzi, le separazioni. La tecnica e il divertimento spengono gli affetti, meccanicizzano i rapporti tra persone. Di questo male stanno infettandosi le diocesi e i conventi.

Eppure lo Spirito Santo, se invocato e fatto penetrare nella chiesa e nella società, se pregato, sa guarire anche i cuori che si stanno agghiacciando.

26.01.2016