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Dinamica del peccato

E’ risaputo che la radice peccaminosa, dalla quale spuntano anche quelle azioni fuorvianti, che di solito si chiamano peccati, è quanto la Genesi dice: “sarete pari a Dio!”. Ossia la pretesa della perfezione e la pretesa dell’immortalità.

Chi non accetta di essere imperfetto e mortale, entra in quell’area di opposizione a Dio, dove la paura della morte e la lotta per la perfezione, portano a coltivare narcisismo e la tristezza della mortalità. Per sfuggire tale paura e tale tristezza, la persona ricorre a mezzi estremi, per dimenticare, per stordirsi, per illudersi. Tutti mezzi che sono, per natura loro, devianti, perché incapaci di generare perfezione e immortalità. Anzi, esasperano il senso di disperazione, che conduce all’insopportabilità nostra e degli altri, e a una silenziosa o aperta ribellione a Dio.

Allora si affievolisce e scompare il ringraziamento e la pace interiore, sostituiti da mezzi che possono stordire, ma non placare.

Questi mezzi sono atti che pretendono di produrre una pace irrealizzabile, e che incuneano sempre più nell’egocentrismo supponente.

Il perfezionismo pretenzioso, e la voglia di autonomia anche morale, sono contrari al bene, perché l’essere totale perfetto è solo Dio, e solo Dio è indipendente da ogni legame ontologico e morale. Il grande peccato oggi dilagante è proprio la pretesa di autonomia da Dio, quando l’uomo, apertamente o subdolamente, vanta una propria scelta religiosa e morale.

Scelta che si concreta nell’opporsi alle “dieci parole”, ossia nel rifiutare di sottomettersi alla volontà di Dio, che impedisce di mangiare dell’albero del bene e del male. La proibizione tende a salvaguardare l’uomo. La disubbidienza provoca la morte.

GCM 07.07.13