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Vita e morte

Dio è il Dio della vita. E allora: perché la morte?

Anche la morte è un fenomeno inerente la vita, la vita nel presente ordine, la vita che si svolge e si sviluppa nel tempo e nello spazio.

E’ vero che Gesù parla di vita nuova, eterna. Però anche lui è morto. Con la morte, Gesù terminò la vita nello spazio e nel tempo. Però non conchiuse tutta la sua vita: lasciò liberarsi una dimensione che, fino alla morte, gli era stata incatenata. Incatenata proprio dal corpo, da quel corpo che pure gli era magnificamente servito per manifestare il Padre e per vivere l’inizio dell’amore e della felicità. Il corpo, come ogni strumento, mentre serve per potenziare le facoltà, anche le limita.

Le tenaglie potenziano la forza delle mie mani, ma anche indicano il limite delle loro capacità e della loro azione.

La morte libera dallo strumento corpo, che serve come introduzione alla vita, ma che impedisce alla vita di espandersi in ogni sua possibilità.

La morte sveste la vita del suo carcere, affinché essa si espanda in tutta la sua grandezza. E’ uno svestirsi doloroso, eppure necessario, per acquistare la libertà. Il credente, pur temendo il morire (il disquamarsi doloroso), tuttavia non teme la morte, ma la desidera. “Cupio mori et esse cum Christo” scriveva Paolo: bramo morire ed essere con Cristo.

La morte, quindi, è lo sforzo più vitale della vita stessa, per entrare nella propria pienezza. E’ l’ultimo dei superamenti delle fasi precedenti della vita, quando nell’ortogenesi un livello superava il precedente, inglobandolo.

Dio, è sempre e comunque il Dio della vita.

GCM 15.06.13