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Diritto e concessione

Ho partecipato lietamente ieri sera a un incontro con i musulmani, viventi in Italia. Vi si è trattato della laicità dello stato e del rapporto tra i fedeli musulmani e cristiani con la costituzione italiana. È stato presentato anche il bisogno di essere riconosciuto l’Islam in quanto religione.

Io da molto tempo distinguo fede (credenti) da religione (istituzione). In quanto credenti si dà una analogia di fondo a ogni spiritualità, comunque espressa. In quanto “religiosi”  (appartenenti a una comunità) notiamo grandi differenza. La fede unifica, le religioni dividono.

Mi soffermo ora su un particolare alquanto scottante emerso ieri sera: il riconoscimento da parte dello “Stato” (laico per natura e per definizione) di ogni religione, principalmente dell’Islam in quanto religione, poiché il problema del rispetto della fede di ogni persona non è in discussione: il livello è sociale, non personale.

Allora mi sono detto: però non ho domandato a me e ai presenti questo: “Chiedo allo Stato il riconoscimento della religione, in quanto io sono cristiano o musulmano, oppure in quanto sono italiano?”.

La differenza non è una quisquilia accademica. Se infatti chiedo in quanto musulmano, chiedo una concessione dallo stato. Se chiedo in quanto italiano, allora esigo un diritto.

Nel primo caso mi pongo di fronte allo stato. Nel secondo sono nello stato, non ospite, ma integrato. Nel primo caso può essere accordato, nel secondo deve essere accordato.

Alla base credo necessiti una chiarificazione: mi sento prestato all’Italia, oppure mi sento davvero italiano? Questa domanda sull’atteggiamento di fondo riguarda ogni fede diventata religione.

La risposta può giungere anche da un minuscolo test: “Sento davvero miei l’inno di Mameli e il tricolore? Sono essi autentici miei simboli civici?”.

GCM  22.05.13