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Il limite

Il limite nostro è una condizione, dalla quale, naturalmente, non si sfugge. Anche la nostra libertà è limitata, eppure alla nostra libertà è affidato il compito di amministrare il nostro limite.

Quando il limite è considerato sotto l’aspetto di mancanza, può diventare invocazione o bestemmia. Dio non ci crea limitati in vista della bestemmia o del peccato. Dio ci crea limitati, non peccatori. Il limite è il presupposto dell’invocazione, perché in esso viviamo l’angoscia esistenziale.

Il nostro limite è destinato alla gioia, però molti lo immettono in una valle di pianto. Il limite crea quel vuoto personale profondo che solo Dio, se invocato, è atto a colmare. Il limite si confonde con la creaturalità. Il superamento del limite profondo non è affidato alle nostre povere forze per eliminarlo, ma alla bontà di Dio per sublimarlo.

La bellezza provvidenziale del limite, è che esso è la condizione essenziale per invocare e per pregare. “Dal profondo grido a te, Signore” recita il salmo.
La bellezza di “doverci” affidare, e di trovarci nella bontà di Dio.

Nella frenesia di superare il limite, la mitologia ha creato gli eroi, addirittura invincibili. Ma gli stessi eroi, reputandosi enormi, cadono nella pretensione di Capaneo. La Scrittura nota la pretesa di superare il limite narrando la colpa di Adamo e di Eva, che tentano di essere come Dio, nell’acquistare la totalità, come indica “l’esperienza del bene e del male”.

La bellezza di essere costruiti per la preghiera, e la bellezza del pregare liberamente per usare in modo corretto i nostri limiti.

L’invocazione sublima i limiti, la pretesa di sopprimerli con la bestemmia ribelle li aumenta, li peggiora.

GCM 15.08.12