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Sempre figli

Nei Veda leggiamo che ci deve interessare il compiere bene ciò che si ha da fare nella situazione in cui ci troviamo, senza tener conto del frutto dell’azione. Le implicazioni di questa posizione sono molte, varie, e talune lontane dal nostro modo di vivere l’etica.

Eppure, una verità è desumibile per noi da tale principio. L’operare: operando; ma senza l’ansia per i risultati. I risultati devono essere in armonia con la voce del Vangelo, ma non possono essere cercati, sfuggendo il presente dell’operare. Operare, sapendo che il presente è quanto sta in nostro potere.
Vivere l’operare in una specie di contemplazione dell’opera stessa nella quale siamo immersi. Amare ciò che stiamo compiendo, dentro la linea voluta da Dio. Amare il lavoro, lasciando al cuore di Dio il giudizio sui frutti del nostro lavoro.

Questo non è apatia o disinteresse, ma è la serenità della libertà. Essere in ciò che facciamo, sapendo che lo Spirito Santo è la dinamica e la forza del nostro lavoro.

Nulla può sfuggire al nostro gioire nell’operare, alla contemplazione sempre presente in ogni istante della nostra vita. Contemplazione espressa anche dal sorriso del nostro operare, perché tutto è in Dio. Paolo: “sia che mangiate, sia che beviate, fatelo nel Signore”.

Talvolta ciò che ci resta ancora da fare, ci travolge nella fretta, nell’ansia, nello spasimo. Dio non ci condanna a nessun lavoro forzato, ma accompagna ogni nostro lavoro e ogni nostro riposo, ogni impegno e ogni ricreazione. In tutto il nostro vivere e in tutto il nostro operare, siamo figli amati da Dio.

GCM 03.09.12