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Perdono.1

Perdono è quanto continuamente chiediamo a Dio, non tanto a causa della nostra debolezza, quanto piuttosto a causa dei nostri errori voluti, che, se opposti alla bontà di Dio, sono peccati.

Il lemma “perdono” si trova nella lingua italiana già nel sec XII. Esso frequentemente riecheggia il termine “condono”, e corrisponde al latino “demittere”, “ignoscere”, che richiama il geco “afìemi”, che nei LXX traduce l’ebraico “salakh” (perdonare), o “nasa” (condonare). “Afìemi” è “lasciar perdere, condonare, perdonare”.

Richieste di perdono, e sua donazione, sono frequenti nell’A.T., soprattutto sono evidenti nei Salmi. Perdono sempre invocato da Dio.

Gesù riprende, ovviamente, la realtà della Scrittura, e la modula in maniera nuova.

All’obiezione farisaica, che afferma come Dio solo può perdonare, Gesù, nell’episodio della guarigione di un uomo paralitico, rivendica a sé la facoltà di perdonare. Facoltà che trasmette agli Apostoli, quando soffia su di loro con il soffio (Spirito) santo: la stessa facoltà di sciogliere (afìemi) e legare.

Così Gesù crea la sua Chiesa, come luogo del perdono. Non riserva di Dio, ma possibilità di Cristo, e facoltà della Chiesa, dentro la quale avviene il perdono e individuale e sociale: non soltanto individuale.

Il perdono si attua prima di tutto come riparazione della rottura più profonda e drammatica, quella rottura che stacca l’uomo dalla vita, che è Dio. Lo scempio del peccato.

Poi come ricomposizione dell’altro peccato, che è la divisione tra i cristiani. Tuffati nella Chiesa di Gesù, in questa essi trovano il collante della carità che perdona. La separazione tra gli individui cristiani, e tra i gruppi cristiani, è peccato.  Peccato contro l’unità del Corpo di Gesù.

Da qui parte la forza della Chiesa in favore della ricomposizione e della pace tra gli uomini. 

GCM 16.03.13