Ambiguità e unitàFare o essere? È il dilemma che utilizziamo per scoprire le persone, capaci di doppiezza. Ci sono individui, e io ne conosco alcuni, che si dilettano dell’ambiguità. Amare o fingere l’amore, rispetto o formalità, prete o frate, santo o isterico, ecc.. Evidentemente chi si diletta nell’ambiguità o nella sua sorella gemella, l’indecisione, assapora l’aspro piacevole, come un liquore stantio. Comunque spesso l’ambiguità è attuata per gustare, a bocconi alterni, a morsi alterni, qualche vantaggio di destra o di sinistra. C’è invece una situazione, nella quale il fare e l’essere combaciano e si rafforzano l’un l’altro. Dove fare ed essere sono necessari e fruttuosi. Essa è l’Eucarestia. Per Eucarestia intendo il raduno del corpo del Signore; noi chiesa richiamiamo il corpo del Signore nel pane e nel vino. Qui non serpeggia l’ambiguità, ma penetra solo l’amore. L’ambiguità si annida dove l’essere e il fare, la sostanza e l’apparire si dissociano. Nell’Eucarestia l’essere è già visibile, l’esterno è già essenza. Quando parliamo di coerenza, noi uniamo il pensiero alla parola, la convinzione con l’atteggiamento. Sono due facce che si corrispondono e rendono la persona unita e armoniosa. Però sono due momenti. Nell’Eucarestia invece il fare e l’essere non sono due momenti, ma un’unità, che, nel suo piccolo, rispecchia la dinamica di Dio Trinità. Si può giungere a gustare quest’unità, non solo mistica, ma anche psichica. È l’esperienza della pienezza, quando le divisioni dovute ai sensi e all’intelligenza, si liberano nel mare del tutto. 22.02.14
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